LIBIA. Storia di un leader controverso.

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Muammar Gheddafi, un leader controverso al potere dal 1969

Il leader libico, dal panarabismo al panafricanismo

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Roma, 19 feb. (TMNews) - Muammar Gheddafi, il più longevo leader arabo-musulmano, è nato a Sirte, in pieno deserto libico, in un giorno imprecisato del 1942 (si ipotizza fra giugno e settembre) da una famiglia di poveri beduini. All'età di nove anni si trasferì a Sebha dove andò a scuola e assorbì le idee provenienti dal vicino Egitto, teatro della rivoluzione di Gamal Abdel Nasser, uno dei massimi esponenti del nazionalismo arabo.

Proprio a Sebha, l'adolescente Gheddafi cominciò la sua marcia verso la rivoluzione contro il re Idris El-Senussi: l'attività politica del giovanissimo Muammar continuò all'Università di Tripoli, dove ottenne un diploma in Storia, prima di essere ammesso all'Accademia militare di Bengasi, in cui non pochi cadetti si mostrarono sensibili alle sue idee di nazionalismo panarabo ed anti-occidentale. Dopo un periodo di addestramento in un'Accademia militare inglese, Gheddafi rientrò in Libia, dove nel frattempo i fermenti di ribellione erano sempre più accesi.

Il primo settembre 1969, i libici appresero dalla radio che re Idris - da alcuni giorni partito per l'estero - era stato estromesso e che il loro paese aveva cessato di essere una monarchia. A guidare la rivolta contro il sovrano - nel ruolo di leader del Consiglio del Comando della rivoluzione - era proprio il giovanissimo Gheddafi. I suoi primi atti di governo erano in linea con i progetti coltivati in segreto negli anni precedenti: nazionalizzazione delle banche estere e delle compagnie petrolifere, nonchè la chiusura di tutte le basi militari occidentali. Panarabismo ed accentuazione dell'aderenza ai precetti islamici in tutti i settori - tra cui la proibizione della vendita e del consumo di alcolici - caratterizzano la Libia dei primi anni della rivoluzione gheddafiana.

Uno dei primi provvedimenti della Libia rivoluzionaria - ormai trasformata in uno stato di polizia - fu, nel luglio 1970, l'espulsione e la confisca dei beni dei circa 20.000 italiani rimasti nell'ex "Quarta Sponda", nel periodo successivo alla fine dell'occupazione coloniale italiana, le cui tracce sono ancora presenti nell'architettura urbana e rurale di un paese che ospita anche eccelsi resti d'epoca classica greca e romana. Sempre sulla scia delle sue idee coltivate prima di giungere al potere, il colonnello di Tripoli diventò paladino di numerosi movimenti di liberazione nazionale ma anche di gruppi terroristici di tutto il mondo, che nella capitale libica trovarono sostegno morale e, soprattutto, finanziario. Parallelamente al distacco dall'alleanza politico-militare con gli occidentali, si realizzò l'avvicinamento all'Unione Sovietica e ai paesi del blocco comunista.

Sin dai primi anni di governo di Gheddafi, i rapporti con l'Italia furono tanto instabili politicamente quanto stabili - anche se a volte irti di problemi ed incomprensioni - dal punto di vista degli scambi. L'annuncio, nel dicembre del 1976, che una Banca libica - la Libyan Arab Foreign Bank - aveva acquisito circa il 13% delle azioni Fiat pagandole il doppio della quotazione di mercato, che allora era di circa 3.000 lire, suscitò profonda meraviglia nella penisola. Ma anche preoccupazioni - rivelatesi infondate - per eventuali colpi di testa di un imprevedibile dittatore arabo, ormai entrato a suon di petrodollari nel salotto buono della finanza italiana.

Nella primavera del 1977, Muammar Gheddafi decise che era arrivato il momento di dare una scossa all'impianto ideologico-statuale della sua rivoluzione varando due iniziative: il cambiamento del nome ufficiale del paese da Libia in "Jamahiriyah" (letteralmente:"Stato delle Masse"); l'esposizione di una sua originale teoria politica nel "Libro Verde", in base al quale il potere reale risiederebbe nei "Comitati popolari", mentre la sua permanenza alla testa del Paese avrebbe solo lo scopo di eseguire la volontà delle masse.

Il risultato principale di questo cambiamento della politica gheddafiana è stato quello di fare piazza pulita di tutte le ideologie importate e di far risaltare solo quella che lo stesso leader definisce la "Terza Via", partorita dalla sua mente senza alcun prestito all'estero. Da questo momento, la caratterizzazione islamica del paese diventò meno accentuata - pur restando la Libia nell'ambito dei paesi musulmani più osservanti - ma ciò che conta di più è l'affermazione delle idee contenute nel "Libro Verde" e dell'autore, oggetto di un culto della personalità non riscontrabile in altri paesi mediterranei contemporanei.

Nonostante le innumerevoli esternazioni ufficiali che enfatizzano il ruolo delle masse, non ci sono dubbi che, a Tripoli, il potere continui a restare fermamente nelle mani del colonnello di Sirte, i cui parenti e membri della stessa tribù - un'aggregazione primaria che continua a mantenere la sua validità in tutti i Paesi arabi - sono incontestabilmente installati in tutti i centri nevralgici del Paese.

Presunti coinvolgimenti di Tripoli in attentati terroristici portarono, nel 1986, al bombardamento aereo americano di Tripoli: alcune bombe cadono sulla stessa caserma che funge da abitazione di Gheddafi, causando la morte di una sua figlia adottiva. L'attentato contro un aereo di linea americano Pan Am -precipitato sulla località scozzese di Lockerbie e la cui responsabilità è attribuita ai servizi segreti di Tripoli - ebbe come conseguenza l'imposizione di sanzioni economiche sulla Libia, il cui isolamento si riflette soprattutto sulle condizioni di vita della popolazione, non certamente degne di un paese grande esportatore di "oro nero". Un altro attentato aumentò l'isolamento internazionale della Libia: quello contro un aereo della compagnia francese UTA nel cielo del Sahara.

Gli smacchi sul fronte arabo - o gli eventi da lui percepiti come tali - suggerirono a Gheddafi, dall'inizio degli anni '90, a spingere sull'acceleratore dell'unità africana. In un'intervista, non ebbe paura di affermare che il continente nero gli è "più vicino dell'Iraq o della Siria". E la retorica panafricana si fece sempre più insistente con l'avvento del terzo millennio. Il nuovo colpo di scena di un leader che ama stupire arriva nel 2003: nel dicembre di quell'anno, il colonnello decise di abbandonare il programma per la costruzione di armi di distruzione di massa. Risultato: riprendono le relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti e le compagnie petrolifere Usa ritornano in massa in Libia. La fine delle sanzioni economiche - alle quali erano addebitati quasi tutti i problemi del paese negli ultimi quindici anni - fanno sognare ai libici un immediato futuro sempre più roseo, la fine dell'incubo di appartenere a quelli che Washington chiama gli "Stati canaglia".

Ma il nuovo "vento di Tripoli" si è finora dimostrato avaro di favori nei confronti del popolo di uno dei paesi più ricchi di petrolio e gas naturale.  La grande maggioranza dei libici - ad eccezione dei vicinissimi al potere e al mondo degli affari - vive (o, meglio, sopravvive) nella precarietà, senza la possibilità di acquistare quei prodotti importati dall'Europa e dagli Stati Uniti, che impreziosiscono le vetrine di città come Tripoli e Bengasi.

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A
<br /> Complimentissimi,bel blog:-) se ti va dai un'occhiata al mio blog e lasciaci 1 commento!Sono una giornalista freelance rimasta senza un giornale per il quale scrivere:-(<br /> <br /> <br />
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D
<br /> <br /> Grazie mille Alessandra.<br /> <br /> <br /> <br />