L'Abbandono del tetto coniugale non è più reato e non costituisce causa di addebitabilità della separazione.

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Napoli. La legge non ammette ignoranti. Attenzione, può capitare che avvocati squallidi e poco professionali, fomentino le incomprenzioni di una coppia al fine di riempire le proprie tasche. Molto spesso coniugi, consigliati male, finiscono per patire le pene dell'inferno a causa del tanto temuto spauracchio dell'ABBANDONO DEL TETTO CONIUGALE. Più è lunga la causa della separazione giudiziaria e più sarà grosso il compenso dei due legali. Riporto in basso qualche documento interessante con la speranza di fare chiarezza su questa questione.

 

Mirko Galante

 

 

 

 

L'abbandono del tetto coniugale non costituisce causa di addebitabilità della separazione quando sia stato determinato dal comportamento dell'altro coniuge, ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata ed in conseguenza di ciò.
La giurisprudenza di legittimità ha confermato che, ove i fatti accertati a carico di un coniuge costituiscano violazione di norme di condotta imperative ed inderogabili - traducendosi nell'aggressione a beni e diritti fondamentali della persona, quali l'incolumità e l'integrità fisica, morale e sociale dell'altro coniuge, ed oltrepassando quella soglia minima di solidarietà e di rispetto comunque necessaria e doverosa per la personalità del partner - essi sono insuscettibili di essere giustificati come ritorsione e reazione al comportamento di quest'ultimo, e si sottraggono anche alla comparazione con tale comportamento, la quale non può costituire un mezzo per escludere l'addebitabilità nei confronti del coniuge che quei fatti ha posto in essere

 
 
Cass. civ. Sez. I, 10-04-2008, n. 9338

Ed invero detta Corte ha ritenuto, fornendo anche su tale punto una adeguata e logica motivazione, che l'allontanamento della D. L. dalla casa familiare trovasse ragione in una situazione di profonda crisi nel rapporto tra i coniugi, anche in relazione ad un difetto di reciproca comunicazione, sino a portare i coniugi ad una estraneità affettiva e relazionale, e quindi si ponesse non già come causa determinante del venir meno dell'unione, ma come mero effetto e presa d' atto di una situazione di intollerabilità della convivenza da tempo maturata.

 

E' noto invero che i vizi della sentenza posti a base del ricorso per cassazione non possono risolversi nella sollecitazione ad una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito o consistere in censure che investano la ricostruzione della fattispecie concreta o che attengano al diverso apprezzamento dei fatti e delle prove svolto dal giudice di merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando soltanto a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione e attribuire prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova, salvi i casi tassativamente previsti dalla legge (v. per tutte Cass. 2007 n. 15489; 2007 n. 13954; 2007 n. 7972).

Cassazione – Sezione prima – sentenza 10 aprile 2008, n. 9338 Presidente Criscuolo – Relatore Luccioli Pm Caliendo –
conforme - Ricorrente P. - Controricorrenti Di L.
Svolgimento del processo
Con sentenza del 19 marzo - 4 aprile 2004 il Tribunale di Trani dichiarava la separazione personale dei coniugi Vincenzo P. ed Angela Di L., rigettava le reciproche domande di addebito, poneva a carico del marito l'assegno di mantenimento di € 414,00 mensili, annualmente rivalutabili, confermava i provvedimenti presidenziali relativi alla assegnazione della casa coniugale al P.,con parte degli arredi, ed alla facoltà della Di L. di asportare gli altri mobili a lei assegnati.
Proposto appello dal P. ed appello incidentale dalla Di L., con sentenza del 7 gennaio - 26 aprile 2004 la Corte di appello di Bari rigettava entrambe le impugnazioni, osservando in motivazione, in relazione alle opposte domande di addebito, che dalle stesse deduzioni delle parti, parzialmente confermate dalla documentazione prodotta, era possibile argomentare che il rapporto coniugale si era progressivamente deteriorato nel tempo, verosimilmente in ragione della diversità di vedute dei
coniugi sulla gestione ed organizzazione della vita familiare, a sua volta determinata dalle loro differenze caratteriali, così che appariva difficile attribuire ai fatti contestati da entrambi i requisiti necessari per integrare l’addebito.
Quanto alla misura dell'assegno, rilevava la Corte che la quantificazione operata dal primo giudice, della quale entrambe le parti nelle rispettive impugnazioni si dolevano, era il risultato di una attenta comparazione delle loro situazioni reddituali ed appariva del tutto congrua, tenuto conto che la Di L. percepiva una pensione sociale di € 393,00, viveva in un immobile umido e malsano per il quale corrispondeva un canone mensile di € 250,00, soffriva di numerose patologie e non era in grado, anche
in ragione dell'età, di esplicare alcuna attività lavorativa, mentre il P., che non aveva prodotto la documentazione aggiornata della pensione percepita, non aveva specificamente contestato l'affermazione della moglie secondo la quale egli fruiva di una pensione di L. 3.000.000 mensili, oltre che degli interessi maturati sui depositi bancari. Avverso tale sentenza il P. ha proposto
ricorso per cassazione fondato su due motivi illustrati con memoria. La Di L. ha resistito con controricorso ed ha a sua volta proposto ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.
Motivi della decisione
Deve essere innanzi tutto disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, ai sensi dell'art. 335 c.p.c.
Va altresì rigettata l’eccezione del P. di inammissibilità del controricorso e ricorso incidentale, in quanto notificato presso il domicilio eletto in Trani del difensore per il giudizio di primo grado, ad opera quindi di ufficiale giudiziario competente per una
circoscrizione territoriale diversa da quella di Roma, dove l’atto avrebbe dovuto essere notificato, ed anche da quella di Bari,dove lo stesso difensore aveva eletto domicilio in sede di appello. Vale al riguardo l’assorbente rilievo che il controricorso con ricorso incidentale è stato notificato in mani proprie dell’avvocato Vincenzo G. , difensore del P. (anche) nel giudizio di cassazione: è qui appena il caso di ricordare che secondo la regola stabilita nell'art. 138 c.p.c, applicabile anche nei confronti dei difensori delle parti, la notifica di un atto a mani proprie del destinatario di esso, ovunque venga trovato dall’ufficiale
giudiziario nell'ambito della circoscrizione dell'ufficio giudiziario cui è addetto, rende irrilevante l’indagine sulla residenza,domicilio o dimora del medesimo (v. per tutte Cass. 2005 n. 10868; 2000 n. 2323).
Con il primo motivo del ricorso principale, denunciando omissione, insufficienza e contraddittorietà della motivazione, si censura la sentenza impugnata per non essere stata ammessa la prova per interpello e per testi già richiesta in primo grado,diretta a dimostrare che l’abbandono della casa coniugale da parte della moglie era stata l’unica causa determinante della crisi coniugale, cui il marito aveva cercato di porre rimedio fino al momento della comparizione dinanzi al Presidente del Tribunale.
Si deduce inoltre che le deduzioni della Di L. in ordine alle ragioni del proprio allontanamento, sulle quali la sentenza stessa si è fondata per escludere l’addebito, erano del tutto prive di sostegno probatorio. Si sostiene altresì che l’abbandono della causa coniugale, quale condotta violativa dell’obbligo di coabitazione imposto dall'art. 143 c.c., costituisce motivo di addebito anche
in presenza di una situazione di incompatibilità caratteriale tra i coniugi, potendo trovare giustificazione soltanto quando ‘si configuri come reazione proporzionata a fatti gravi posti in essere dall'altro coniuge. Il motivo è infondato, sotto tutti i profili prospettati. Quanto alla prima doglianza, va rilevato che la sentenza impugnata ha osservato, con motivazione congrua e logicamente corretta, e quindi non censurabile in questa sede, che giustamente il primo giudice aveva ritenuto irrilevanti le prove dedotte, non consentendo esse di stabilire, così come articolate, quale dei comportamenti denunziati si ponesse come
causa esclusiva del fallimento del vincolo coniugale.
In relazione alle ulteriori censure contenute nello stesso motivo, va rilevato che la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio di diritto, recepito nella consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo il quale l’abbandono della casa familiare non costituisce causa di addebitabilità della separazione quando sia stato determinato da una giusta causa, ossia dalla ricorrenza di situazioni di fatto, o anche di avvenimenti o comportamenti altrui, di per sé incompatibili
con la protrazione della convivenza, ovvero quando sia intervenuto in un momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione di detta convivenza si sia già verificata, ed in conseguenza di tale fatto (Cass. 2007 n. 17056; 2006 n. 1202; 2005 n. 12373; 2000 n. 10682). Ed invero detta Corte ha ritenuto, fornendo anche su tale punto una adeguata e logica motivazione, che l’allontanamento della Di L. dalla casa familiare trovasse ragione in una situazione di profonda crisi nel rapporto tra i coniugi,anche in relazione ad un difetto di reciproca comunicazione, sino a portare i coniugi ad una estraneità affettiva e relazionale, e quindi si ponesse non già come causa determinante del venir meno dell'unione, ma come mero effetto e presa d'atto di una situazione di intollerabilità della convivenza da tempo maturata.
Le ulteriori censure formulate sotto il profilo del difetto di motivazione si risolvono nella non consentita prospettazione di una diversa lettura del materiale probatorio, del quale inammissibilmente il P. sostiene l’idoneità a dimostrare la responsabilità della moglie nel fallimento dell'unione coniugale.
È noto invero che i vizi della sentenza posti a base del ricorso per cassazione non possono risolversi nella sollecitazione ad una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito o consistere in censure che investano la ricostruzione della fattispecie concreta o che attengano al diverso apprezzamento dei fatti e delle prove svolto dal giudice di
merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando soltanto a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento,valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a
dimostrare i fatti in discussione e attribuire prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvi i casi tassativamente previsti dalla legge (v. per tutte Cass. 2007 n. 15489; 2007 n. 13954; 2007 n. 7972).
Con il secondo motivo, denunciando omissione, insufficienza e/o contraddittorietà di motivazione, si censura la sentenza
impugnata per non essere stata ammessa la prova per interpello e per testi diretta a dimostrare che la Di L. si era trasferita a Napoli, dove svolgeva attività di governante percependo L. 700.000 mensili, e si deduce che tale entrata, unitamente alla pensione sociale, soggetta agli aumenti previsti dalle recenti riforme pensionistiche, avrebbe dovuto ritenersi idonea a garantirle la conservazione del precedente tenore di vita. Tale motivo va esaminato congiuntamente con l’unico motivo del ricorso incidentale, con il quale, denunciando contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo, la Di L. deduce che la sentenza impugnata, nel rigettare l'appello incidentale diretto ad ottenere una più elevata determinazione dell'assegno, ha assunto una motivazione evanescente, intrinsecamente contraddittoria ed inidonea a far intendere il procedimento logico giuridico posto a base della decisione, in quanto, a fronte della accertata notevole diversità delle posizioni reddituali, delle patologie di cui soffre la esponente, del peso del canone di locazione sulla medesima gravante, ha fissato l'ammontare dell’assegno in modo del tutto incongruo, ravvisando l’esigenza di garantire un decoroso mantenimento soltanto nei riguardi del P. e richiamando genericamente un bisogno di cure mediche da parte del medesimo.
I due motivi così sintetizzati, che investono sotto opposte prospettive la decisione della Corte di appello in ordine alla determinazione dell’assegno di mantenimento, sono entrambi infondati. La decisione impugnata si sottrae alle censure di vizio di motivazione specularmente denunciate, avendo la Corte territoriale dato adeguatamente conto del proprio convincimento sul punto, da un lato accertando che la donna, ormai settantenne, non era in grado di espletare alcuna attività lavorativa e dall'altro prendendo in esame le condizioni reddituali e patrimoniali dell'uno e dell’altro coniuge, quali risultanti dalla documentazione prodotta, infine richiamando le esigenze di cura del marito, determinate dalle sue non buone condizioni di
salute.
In tale percorso argomentativo appare chiaramente sottesa la valutazione di irrilevanza della prova per interpello e per testi dedotta dal P., il cui articolato, come riportato nel ricorso per cassazione, si profila estremamente generico, in quanto privo di ogni riferimento temporale in ordine al trasferimento della donna a Napoli ed alla prestazione in detta città di una attività retribuita. L’esito della lite induce a compensare interamente tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese.

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<br /> Mi chiamo Roberto Petrosino e sono un avvocato penalista del Foro di Bologna.<br /> Una decina di giorni fa ero su un treno che dalla Puglia mi riportava a BO, davanti a me era seduta una donna che mi raccontava di essere in corso di separazione giudiziale col marito, e mi diceva<br /> che il reato di abbandono di tetto coniugale è stato abrogato. Mi considero un avvocato preparato e mi aggiorno costantemente, ma la notizia mi ha sorpreso; allora ho fatto una piccola ricerca,<br /> prima sul codice penale, all'art. 570 comma 1 che sanziona questo tipo di condotta (anche se la chiama in modo diverso)e ho accertato che la norma è sempre lì, immutata. Per scrupolo ho proseguito<br /> la ricerca sul web, che mi ha subito dato il suo blog.<br /> Il titolo del suo articolo è fuorviante, poichè abbandonare la casa coniugale è comunque reato ai sensi del summenzionato articolo 570 c.p..<br /> Lei riporta una sentenza della Cassazione, ma essa non ha il potere di abrogare la legge, solo il Parlamento può farlo. La Corte di Cassazione ha funzione di nomofilachia, cioè interpreta la<br /> legge.<br /> Pur non avendo letto la sentenza in questione (sono sicuro che non dice nulla che non sia già stato detto in giurisprudenza) è ovvio che ripropone una serie di circostanze - pacifiche e note ad un<br /> avvocato di buona preparazione - che scriminano l'abbandono (per esempio subire certe vessazioni, ecc.), è una cosa che abbastanza comune per tanti reati. Qesto non vuol dire che un coniuge possa<br /> andar via di casa come e quando gli pare!!!<br /> Le scrivo perchè dispiaciuto dalla vicenda personale della donna che ho conosciuto in treno, la quale non è tecnico del diritto e si è fidata di ciò che le ha detto il suo avvocato (che<br /> evidentemente consulta più internet del codice penale!); le conseguenze di un abbandono della casa coniugale senza che vi sia una giusta causa non sono di poco conto: chi abbandona può essere<br /> indagato e processato penalmente, con l'obbligo di difesa e quindi di pagare il proprio avvocato (non si sceglie di essere imputati, nè si può stare in un processo penale senza difensore); magari<br /> il coniuge che abbandona la casa viene assolto perchè il giudice accerta l'esistenza delle circostanze che escludono il reato indicate dalla sentenza della Cassazione che lei riporta, ma intanto ha<br /> subito un danno economico che non gli viene rimborsato!<br /> Peraltro ho visto che la ritenuta abrogazione dell'abbandono della casa domestica è un errore abbastanza diffuso in internet.<br /> Aggiungo un'ultima cosa in favore del coniuge che non tollera più la via in comune: l'art. 146 comma 2 del codice CIVILE prevede che la domanda di separazione tra coniugi, è GIUSTA CAUSA DI<br /> ALLONTANAMENTO DALLA RESIDENZA FAMILIARE.<br /> Augurandomi di essere stato utile a lei e ai suoi lettori, saluto cordialmente.<br /> Avv. Roberto Petrosino<br /> <br /> <br />
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D
<br /> <br /> Grazie di cuore per la sua preparazione, spero che quanto ha scritto possa essere utile a chi vive queste condizioni...le confesso che prima di pubblicare questo articolo ho parlato con un suo<br /> collega il quale però si era limitato a confermare il fatto che l'abbandono del tetto coniugale non era più reato...bhè forse ora leggendo quanto lei ha scritto, sarà più attento nel rilasciare<br /> determinate dichiarazioni...<br /> <br /> <br /> Grazie mille per aver dedicato il suo tempo alla lettura del mio umile blog<br /> <br /> <br /> Con affetto Mirko<br /> <br /> <br /> <br />